Come il F.A.I. censisce i “luoghi del cuore”, così anche noi appassionati di equitazione
conserviamo memoria di alcuni protagonisti della scena equestre, passata o recente, che ci tornano
alla mente durante le quotidiane fatiche della scuderia accudendo, semmai, loro discendenti molto
meno noti.
Potrebbe risultare interessante quindi che i lettori di questa Rivista contribuissero a costruire una
sorta di pantheon virtuale aggiungendo, a quelle che qui proporrò io, le storie dei loro preferiti.
Meglio ancora sarebbe se ci astenessimo dall’indicare i “fuori categoria” ( i Ribot o i Varenne, per
intenderci) e magari accostassimo, ai nomi importanti, quelli del nostro personale vissuto che con i
primi abbiano avuto un qualche legame .
Ecco dunque i miei cavalli del cuore:
Piccola Lark
Cavalla celebratissima nel nostro Paese, tanto che alcuni centri ippici ancora oggi ne portano il
nome. Era, a quanto mi risulta, di razza irlandese, che in quegli anni (siamo fra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento) dette linfa alle rimonte dell’esercito, oltre a costituire la
cavalcatura preferita nelle cacce sia romane che milanesi frequentate solo da aristocratici e ufficiali.
Dalla documentazione fotografica appare baia scura con stella in fronte.
Era “codimozza”, singolarità del suo aspetto che tale però non era – a quel tempo – per i cavalli
della buona società.
Per noi che giudichiamo le cose con la sensibilità di oggi l’amputazione caudale appare addirittura
censurabile, ma allora costituiva un segno di distinzione. D’altronde il mondo dei cavalli era ed è
fortemente condizionato dalle mode e quindi sarebbe ipocrita criticare in misura esagerata quelle
del passato.
Piccola Lark è un vera bandiera per i cultori del sistema di equitazione naturale a motivo della
fluidità e dell’equilibrio del suo incedere testimoniato da una pubblicatissima fotografia che la
ritrae, montata da Federico Caprilli, leggera diritta e in avanti, non all’interno della storica
cavallerizza, ma (probabilmente proprio per recarvisi) in una strada bianca di Pinerolo.
Non disponendo io dei dati biometrici della cavalla, ma valutandoli da questa foto in base alla
proporzione con il suo cavaliere, mi sono fatto l’idea che non fosse di statura particorlarmente
elevata, ma non inferiore ai 160 cm. al garrese.
L’affidabilità del soggetto è altresì testimoniata da altre fotografie d’epoca, che la vedono
impegnata, sempre sotto la sella di Caprilli, nel salto della sedia posizionata isolatamente sul
terreno, in quello di una carrozza scoperta attaccata ad altro cavallo e nell’insidioso salto di una
recizione di fil di ferro.
Una curiosità: questi stessi esercizi, o simili, furono ripresi, e oggi ancor riproposti (come io stesso
ho potuto ammirare in una serata fiorentina di tanti anni fa) nelle esibizioni del Cadre Noir di
Saumour che, forse per non mettere in ombra la grandeur francese, non inviò mai i suoi écuyers ai
corsi di Pinerolo (come invece fecero altre cavallerie europee ed extraeuropee) pur visionandone
con estrema attenzione i risultati. (1)
Di Piccola Lark devono essere poi citate altre due foto che rappresentano il manifesto non tanto e
non solo delle capacità del soggetto, quanto piuttosto quelle del metodo caprilliano.
Mi riferisco ai salti delle filagne eseguiti (…inutile dirlo) con perfetta libertà dell’incollatura.
Su quella in cui Piccola Lark è montata personalmente da Caprilli, caratterizzata anche dalla
presenza del contadinello che osserva ammirato, non vi è, circa l’ubicazione, unanimità di
opinioni: Giubbilei la vorrebbe scattata a Pinerolo (2); mentre Lami la colloca (geograficamente e
quindi temporalmente) a Tor di Quinto nell’ultimo periodo (3).
Non posso certo io ergermi a giudice del contrasto d’opinine fra questi due importanti scrittori di
cose equestri, ma devo rilevare che le filagne erano un elemento divisorio degli appezzamenti tipico
della campagna romana, come conferma la documentazione delle cacce che vi si svolgevano (4).
Altra fotografia di Piccola Lark (qui riprodotta) – impegnata nello stesso tipo di salto, ma su tre
elementi anziché su quattro – la vede montata da Vezio Santini, che di Caprilli era fratello di
“secondo letto”, che del capitano fu l’esecutore testamentario e che ne ricevette in legato il cavallo
Pouff .
Beccaccino
Maremmano in tutto, a cominciare dal nome giacché il beccaccino era una delle prede preferite dei
cacciatori di quelle parti nelle piccole battute vicino casa, come ci tramanda Renato Fucini ne << Le veglie di Neri >> (5).
Venne al mondo nel 1953 da Silvano e Squilla ed era un baio alto 1,59 al garrese, balzano nei
posteriori in ciò non conforme alla descrizione del maremmano che fa il colonnello Tommi
Bruschirei nel 1860, che li voleva <>.
Fu un prodotto dell’allevamento Guicciardini Corsi Salviati operante tra i primi del ‘900 e il 1967 a
nord di Grosseto nei pressi della Fattoria Acquisti.
L’altezza contenuta ne valorizzava le forme, la rotondità della groppa e l’importanza
dell’incollatura confermando, una volta di più, la maggior armonia dei soggetti non altissimi.
La sua data di nascita e la sua ascrizione, a pieno titolo, fra i maremmani “doc”, non devono però
trarre in inganno: negli anni ’50 del secolo scorso l’impiego del derivato inglese o del psi
nell’allevamento del cavallo maremmano ( per “migliorarlo” in distinzione e velocità) era già un
fatto acquisito, tant’è che negli ultimi anni dell’800 il Fogliata segnalava (6) la difficoltà di
rintracciare l’ <> con progenitori germanici.
Questa considerazione mi pare trovi conferma, anche sotto l’aspetto delle corrispondenze temporali,
nei riscontri fotografici ancora disponibili
In uno “scatto” del 1890 eseguito nei pressi di Scansano (7) si vede, in secondo piano, montato da
un buttero, un cavallo di tipo piuttosto rustico ed in questo senso “di vecchio stampo”, mentre
quello in primo piano presenta sia il tradizionale profilo montonino e l’assenza di balzane, che
forme simili a quelle del più recente Beccaccino.
La transizione, allora in atto, è evocata dalla suddetta collocazione dei due cavalli: ciò che il
fotografo si proponeva di ritrarre era il “nuovo” e ciò che ci si lasciava alle spalle viene posto sullo
sfondo.
Comunque il maremmano di vecchio modello, tramandato nelle immagini d’epoca, resta altro sia
da quallo fotografato a Pomonte di Scansano che dal maremmano di metà Novecento, cioé da
Beccaccino.
A riguardo di questi tempi vicini a noi, va tenuto presente che col secondo dopoguerra entriamo in
pieno nella modernità, essendo la poderizzazione del latifondo avviata (8), la meccanizzazione
dell’agricoltura in progressiva rapida diffusione, così risultando poste le basi di
quell’”imbastardimento” della Maremma evocato nei suggestivi e pressoché coevi versi del Ruspoli
(9) che poteva permettersi di rimpiangere la primitiva romantica desolazione delle terre a sud del
fiume Fiora, in quanto … principe di Cerveteri!
Ritornando a Beccaccino la sua tipicità è sicuramente affermabile perché, come Questore e
Indomito, era discendente certificato di Otello, del quale non mi sono note le origini, ma che è
l’indiscusso capostipite della più consistente linea di sangue dei maremmani.
Beccaccino operò come stallone fino al 1970 e tra i suoi figli annoverò anche la femmina Osca.
Fox Trott e Clavelito
Chi, una trentina di anni fa, disponendo di una di quelle cavalle, molto qualitative, “fatte ” più con
l’intuito che con la genetica, fra bassa Toscana e alto Lazio, attraverso l’incrocio sapiente di a.a.s.
e maremmano migliorato, si fosse proposto, portandola alla monta, di valorizzare una di queste
componenti scegliendo quella sarda, difficimente – nell’individuazione dello stallone – avrebbe
potuto orientarsi verso un soggetto nelle cui vene non scorresse il sangue di Fox Trott o di
Clavelito.
Questi due cavalli vanno ricordati insieme perché, arrivando dalla Francia entrambi, il primo nel
1969 e l’altro nel 1971, sono da considerare, a pari merito, i pilastri dell’allevamento moderno degli
anglo-arabi-sardi.
La scelta di cercare nella douce France gli stalloni per coprire fattrici indigene per l’impiego
militare ancor prima che per l’equitazione sportiva, va fatta risalire al 1883, cioè a neanche dieci
anni di distanza dalla fondazione dell’allora Regio Deposito Stalloni di Ozieri.
Quindi, fin dai tempi del Regno d’Italia, la Sardegna, con i suoi cavalli, è stata terra da cui trarre le
rimonte e anche oggi, sebbene la presenza di reparti militari ippomontati sia limitata al 4°
Reggimento Carabinieri, di stanza a Roma (quello del Carossello, per intenderci) tale unità militare
si rifornisce nell’isola di anglo arabo sardi. E’ dunque probabile che fra i cavalli attualmente in
servizio presso tale Reggimento ve ne siano anche di appartenenenti alla linea di Fox Trott e
Clavelito.
Il primo, a.a. al 50%, nato nel 1966, sauro – acquistato al concour-épreuve d’étalons di Tarbes, era
un prodotto di altissima genealogia dell’haras di Pompadour (10).
I suoi estimatori francesi, anche nell’ambito del giornalismo di settore, notarono che <> (11) e perciò si rincrebbero che lasciasse il suolo transalpino per l’Italia.
I fatti diedero ragione sia al rincrescimento dei primi, che alle aspettative degli importatori: basti
dire che fra la numerosa progenie di Fox Trott si contano oltre venti discendenti di assoluto valore.
Il secondo, cioè Clavelito ( nome spagnolo di un fiore che spande il suo profumo nelle ore tarde)
a.a. al 25%, baio, di 1,70 al garrese, di due anni più giovane del sopracitato Fox Trott, non poteva,
neppure lui, passare inosservato ad occhi esperti.
E tale scelta si rivelò “azzeccata” almeno quanto l’altra , tant’è che Clavelito fino al 1995 è stato in
vetta alla classifica degli stalloni padri di cavalli vincitori in concorso ippico.
Se dunque, già singolarmente, la qualità di questi due “ cavalli del cuore” ha potuto assicurare così
strepitosi risultati, c’è da chiedersi quale sia stato il frutto della somma di tali qualità ottenuto
incrociando discendenti di Fox Trott con discendenti di Clavelito.
La risposta c’è e si chiama S’Archittu, cavallo plurivincitore, emblema già nel nome
dell’allevamento sardo degli anglo- arabi, figlio di Fox Trott e nipote di Clavelito da parte di
madre, la fattrice Incredula.
Però la scienza allevatoriale non è matematica e la somma di “due più due” non sempre da quattro:
il mio primo puledro (discendente tanto di Fox Trott quanto di Clavelito, per via di Grease II che
operò come riproduttore presso l’Istituto di Incremento di Ferrara) non si rivelò neppure
lontanamente all’altezza di cotato pedigree. Fin dalla nascita presentò difetti ai posteriori tali da
ingenerare in me il dubbio che suo padre, in realtà, non fosse Grease II, ma il “ruffiano” utilizzato
per saggiare l’estro della mia fattrice. Come si suol dire: mater sempre certa, pater numquam!
Ciò tuttavia nulla tolse all’affetto che gli portai fino alla sua morte.
Già, la morte, che può solo sottrarre i cavalli al nostro sguardo, ma giammai al nostro ricordo
perché – come sono solito dire – essi non muoiono…. cambiano solo di box.
Mario Renzulli
Note:
(1) C.A. Morelli di Popolo, La scuola di cavalleria di Pinerolo, Ed. Equestri, MCMLXXX, pag 56;
(2) C. Giubbilei, Caprilli vita e scritti, Ed. Equesrti, 1976, pag. 176;
(3) L. Lami, Le passioni del dragone, Mursia, 2009 , foto-raccolta fra pagg. 96 e 97;
(4) V.M. De Sanctis, Un secolo e mezzo di caccia alla volpe nella campagna romana, Abete, 1986 ;
(5) Riporto, in sunto, dal racconto Vanno in Maremma inserito in quella raccolta, il seguente
dialogo: << Insegnami un beccaccino>> << Ce ne ho uno nella madia che l’ammazzai l’altra sera all’aspetto>>;
(6) Savio – Conforti, Il Cavallo Maremmano, ed. Cam. di Comm. di Grosseto, 1978, pag. 20;
(7) cfr il sito internet: ANAM Cavallo Maremmano cliccando su “Il cavallo maremmano ieri”;
(8) Per un migliore inquadramento cronologico giova ricordare che nell’aprile 1953 si inaugurò il
borgo di Rispescia, non distante da Alberese, costruito per iniziativa dell’Ente per la
colonizzazione della Maremma tosco-laziale e del territorio del Fucino;
(9) Poeta e aristocratico romano del’900 autore di Maremma morta : << (…) Metti la sella all’ultimo cavallo che voglio andare via da questa terra (…) ora che è imbastardita la Maremma>>;
(10) L’haras di Pompadour costituisce la <> di Francia (così L.
Gratani, in L’anglo arabo sardo, ed. Equestri, 1988, pag. 31;
(11) N. De Blomac, L’Eperon, dicembre 1969